Cos'è l'Harmattan?

Cos'è l'Harmattan?

E’ inevitabile: quando stiamo in mezzo ad un bosco il nostro umore migliora, ci sentiamo tutti più leggeri. Gli alberi fanno molto per noi, ed il benessere emotivo è solo l’ultimo anello di una catena, a cui la nostra serenità è intimamente legata. Gli alberi producono ossigeno e ombra, salutare per noi e per la terra, le loro radici trattengono il terreno, altrimenti fragile. Sono nozioni che tutti noi abbiamo imparato sin dalle elementari, ma quello che a scuola non ci hanno mai raccontato, è cosa succede se gli alberi, per svariati motivi, non ci fossero più.

Per rispondere a questa carenza informativa e culturale, basta guardare cosa accade in Africa nell’area del Sahel, a sud del Sahara. Si troverà una terra che s’impoverisce ed inaridisce velocemente, permettendo al deserto di avanzare, e creando quella povertà che genera migrazioni forzate ed enormi problemi di sicurezza. Secondo uno studio della FAO, si ritiene che l’83 per cento delle popolazioni rurali in Africa sub-sahariana dipendano dalla terra per il proprio sostentamento, ma il 40 per cento delle risorse del territorio sono attualmente degradate. I numeri parlano da soli, ma a volte rimangono solo fredde percentuali e statistiche che poco arrivano al cuore del problema. Ed il cuore del problema è questo: senza alberi, la terra muore.

 

Muore letteralmente, perdendo tutte le sue caratteristiche biochimiche che ne permettono la vita, la capacità di nutrire alberi e fili d’erba, e quindi animali. Ma è una morte lenta, che somiglia ad un’agonia: la terra senza alberi è nuda ed esposta al sole rovente, che giorno dopo giorno ne brucia le proprietà nutritive, formando uno strato spesso di terreno laterizzato. Esattamente: laterizzato, ovvero una distesa di terra morta e cotta dal sole, un unico grande blocco di quello stesso materiale con cui si costruiscono abitazioni. E non c’è più niente da fare quando il terreno si è laterizzato: la sporadica pioggia che lo bagna rimarrà in superficie, in pozze spesso malsane, senza dissetare lo strato sottostante; qualsiasi cosa si tenterà di piantare, non potrà crescere e morirà a sua volta, sopra questa grandissima pietra tombale che ricopre il terreno. Se questo è brutto, c’è da dire che le disgrazie non arrivano mai sole, e per quanto riguarda il Sahel, la deforestazione espone la popolazione al forte vento dell’Harmattan.

 

Si tratta di un vento secco e caldo, che nasce nel Sahara e si sposta verso il Sahel con folate oltre i 90 km/h; quando arriva nelle aree abitate, rende le popolazioni completamente inermi agli eventi atmosferici. Sì, perché un’altra cosa che non ci hanno detto alle elementari, che sì, gli alberi sono (anche) dei reni, degli organi depurativi dell’aria, ma anche che ci proteggono dagli eventi atmosferici estremi. Se nel nostro occidente un vento estremamente forte ci spaventa, noi corriamo in casa e ci sentiamo al sicuro: in quelle aree africane, la casa è una capanna, che vola via in un attimo. Non solo: l’Harmattan porta con sé sabbia e polvere finissima, che ricopre tutto, cose e persone.

 

Persone ricoperte di polvere secca e calda che si deposita sulla pelle, negli occhi, in gola. Inoltre l’Harmattan è un veicolo ideale per molte patologie che si possono spostare da un’area all’altra…. Se ci fossero degli alberi almeno la tempesta di sabbia sarebbe meno invasiva. Sembra una situazione senza speranza, eppure una forte e concreta possibilità di riscatto c’è, ed è il Great Green Wall, perchè “E ‘giunto il momento di rompere il circolo vizioso della crisi in Sahel lavorando sulla capacità delle comunità rurali di resistere alle intemperie, alla siccità ed altri shock, invece di limitarsi a contribuire a recuperare il disastro”, era il 2013, quando Maria-Helena Semedo, vicedirettore Generale FAO, pronunciava queste parole all’apertura dei lavori del forum internazionale per il Great Green Wall. Si tratta di un progetto attivo dal 2007, che punta alla realizzazione di ‘una grande muraglia’ di alberi, che possa frenare la desertificazione.

Dal Senegal a Gibuti, dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso, un nuovo parallelo di alberi piantati con il sostegno di moltissimi attori, primi tra tutti l’Unione Africana e la FAO. In questo contesto s’inserisce anche l’intervento diretto di Bambini nel Deserto che sta contribuendo al Great Green Wall in Burkina Faso. L’opera è stata realizzata nella provincia dello Yatenga, e  più precisamente nel villaggio di Kao con il nome di Green Arrow, dove 140 donne lavorano in cooperativa ad un vivaio di 1ha, posto nelle vicinanze di un corso d’acqua stagionale; ma c’è anche un ritorno economico interessante, come spiega Luca Iotti, Presidente di Bambini nel Deserto Onlus: “le donne producono alberi, noi li compriamo e li piantiamo insieme alla comunitá, riconoscendo un contributo economico per la gestione degli alberi (irrigazione e protezione dagli animali)  finchè questi non sono totalmente autonomi nella crescita ». Perché se è fondamentale creare e ricreare foreste e boschi, è altrettanto fondamentale dare reddito a queste popolazioni e far crescere la cultura che gli alberi sono importantissimi.

 

Ma il circolo virtuoso dell’intervento di Bambini nel Deserto non finisce qui: si sta creando una sorta di ‘Freccia Verde’ a protezione del villaggio e del complesso scolastico di Kao, un triangolo che sui due lati che convergono sulla punta, offre file di 50 alberi posti tra i cinque e i tre metri l’uno dall’altro, per un totale di 900 alberi, nell’intera superficie della ‘freccia’. La conformazione particolare a freccia, nasce proprio dalla necessità di proteggere il villaggio dal vento dell’Harmattan: in questa maniera il vento ‘scivolerà’ lungo i vertici del triangolo, senza impattare sulle abitazioni del villaggio. Inoltre altre donne saranno lavorativamente impegnate nella gestione delle piccole foreste, e tutto il villaggio potrà beneficiare di un luogo fresco dove poter rinfrancarsi dal caldo. Se si conosce un poco l’Africa, sembra una goccia nel mare, eppure interventi come quelli di BnD hanno in realtà fatto molto: sempre secondo i dati FAO, nel sud del Niger, per esempio, gli agricoltori hanno riabilitato oltre 5 milioni di ettari di terra, con ritorni favorevoli per i raccolti ed il bestiame, mentre in Senegal, 27 mila ettari di terreni degradati sono stati restaurati con la messa a dimora di 11 milioni di alberi, con una destinazione d’uso parziale destinato all’ecoturismo.

 

E l’ecoturismo è sicuramente una chiave di sviluppo economica interessante per tutta l’Africa, a patto e condizione che vi siano dei boschi, dove il nostro umore migliora e la vita degli africani rinasce.

Marianna De Padova

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