
I Progetti Ayris in Senegal
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La Costa D’Avorio è il primo produttore di materie prime per il cioccolato al mondo; infatti, copre circa il 40% del mercato mondiale e la coltivazione ed esportazione di cacao frutta il 20% del suo Pil. Le fave di cacao sono infatti le regine dell’export agricolo (seguite da caffè, ananas, anacardi e caucciù), nonché uno dei principali fattori della crescita economica ivoriana, che procede da qualche anno a ritmi elevati grazie anche alla relativa stabilità politica. A questo proposito, il governo ivoriano si è posto come obiettivo la trasformazione di almeno il 50% del cacao in prodotti derivati; infatti, benché la Costa d’Avorio sia il primo esportatore al mondo, l’industria dolciaria è ancora sottosviluppata e il cioccolato come bene di consumo è ancora considerato un bene di lusso. A questo scopo, il governo ha defiscalizzato l’esportazione di prodotti a base di cacao ivoriano e ha inaugurato nel 2015 le prime due fabbriche di cioccolato del Paese. Nel frattempo, sono comparse piccole botteghe artigiane che prendono una parte del raccolto dei contadini e sono in grado di trasformarlo in cioccolato di qualità. L’unico vero grande ostacolo a questo recente sviluppo? La minaccia climatica.
Il termine “cioccolato” deriva dalla parola azteca “xocoatl” (“xoco”, amaro, e “atl”, acqua), usata anticamente per indicare una bevanda sacra ottenuta dalle fave di cacao unite a spezie, bevuta principalmente dai sacerdoti e considerata fonte di saggezza, nonché un potente afrodisiaco. Si ritiene oggi che il cacao sia un alimento originario del Sudamerica e che sia giunto in Europa all’inizio del XVI secolo, grazie a Hernan Cortés. Le popolazioni indigene lo usavano non solo in infusione, ma anche come moneta e come offerta nei sacrifici per gli dei, a dimostrazione del suo grande valore. La crescita della domanda di cioccolato, una volta importato in Europa, ne ha determinato la coltivazione nel continente africano, dove il clima risultava essere particolarmente favorevole
Oggi numerose nazioni africane traggono profitto dalla coltivazione del cacao e si stima che la maggior parte di questa produzione derivi da piccoli agricoltori con piantagioni di relativa estensione; di conseguenza, è riscontrabile una discreta redistribuzione della ricchezza tra la popolazione. Per stati come la Costa d’Avorio, dunque, il cacao è divenuto una vera e propria ricchezza nazionale, una fonte di reddito “rinnovabile” in linea di principio per milioni di contadini, che grazie ad essa possono permettersi una vita dignitosa. Questo tipo di coltura non è, tuttavia, facile: le piante sono delicate e devono essere circondate da vegetazione alta e frondosa per non essere colpite troppo direttamente dall’irradiazione del sole, in più risultano particolarmente vulnerabili a malattie e parassiti. Inoltre, la comparsa dei primi frutti richiede circa 5 anni di attesa. Proprio per tutti questi motivi, il cacao risente particolarmente dei cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale.
L’allarme è stato lanciato dall’International Center for Tropical Agriculture (CIAT), che ha pubblicato uno studio secondo cui l’aumento della temperatura media di 1° o 2°C entro il 2050 potrebbe avere conseguenze significative sulla produzione di cioccolato. Due sono i fattori climatici più rilevanti: l’instabilità della pluviometria e la sempre maggior frequenza di fenomeni estremi quali siccità ed alluvioni. In Costa d’Avorio, a contribuire agli effetti negativi di questi mutamenti, si aggiunge la massiccia deforestazione avvenuta durante gli anni della guerra civile (2002-2011), durante i quali coltivatori provenienti da varie parti del paese e dagli stati limitrofi hanno invaso le poche zone rimaste ancora boschive per creare nuove piantagioni.
Dal 1960 ad oggi, infatti, si stima che le foreste siano diminuite di circa l’80%; tuttavia, il governo ha previsto una spesa di circa 1,3 miliardi al fine di porre rimedio a questo problema: si tratta di un piano ambizioso che favorisca la ricrescita delle foreste senza diminuire la coltivazione di cacao, che anzi gioverebbe della rinascita della vegetazione. Il rapporto del CIAT, infatti, suggerisce di concentrarsi sulle zone agricole già esistenti, diversificando le colture, ma anche piantando alberi le cui foglie possano proteggere le piante di cacao dall’eccessivo calore. Investire per invertire la rotta in stati come la Costa d’Avorio è fondamentale: il rapporto annuale del 2008 fornito dall’associazione internazionale Climate Chance (che riunisce tutti gli attori non-governativi riconosciuti dall’Onu nell’ambito della mobilitazione contro il cambiamento climatico) ha dichiarato che la perdita economica dovuta al riscaldamento globale dal presente al 2040 in Costa d’Avorio è stimata tra i 380 e i 770 miliardi di franchi CFA. Inoltre, secondo la metodologia usata dal programma “Wealth Accounting and the Valuation of Ecosystem Services” (WAVES) della Banca Mondiale, la riserva di capitale naturale per abitante nel paese è diminuita del 26% tra il 1990 e il 2014. Questi dati sono particolarmente significativi se si considera l’importanza della crescita economica ivoriana in seguito alla fine della guerra civile: i ritmi sostenuti con cui l’economia si è sviluppata non possono continuare se non supportati da un’adeguata quantità di risorse e, a fronte di una diminuzione di queste ultime, sono destinati inevitabilmente a rallentare, se non a ridursi, nei prossimi decenni.
Per la Costa d’Avorio il cacao rappresenta oggi entrambe le facce della stessa medaglia: da un lato è il cardine dell’economia (almeno per quanto riguarda il settore agricolo e delle esportazioni), dall’altro è una risorsa naturale estremamente vulnerabile agli sbalzi climatici e, per questo, non necessariamente rinnovabile. Il riscaldamento globale colpisce in particolar modo le fasce tropicali; per questo motivo la coltivazione di cacao sarà particolarmente a rischio nei prossimi anni e rischierà una drastica riduzione. Ciò non comporterebbe soltanto un disastro dal punto di vista ambientale e consumistico, ma anche strettamente economico per la Costa d’Avorio, che ha puntato sul cacao come principale prodotto da coltivare ed esportare. Di conseguenza, il prossimo decennio comporterà la necessità di trovare soluzioni efficaci per un problema che avrà ripercussioni mondiali e, in primis, sull’intera società ivoriana.
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Dall’esperienza ventennale di BnD nasce il programma Ayris. L'obiettivo è quello di combattere la desertificazione e il riscaldamento globale, insieme alle comunità locali, non solo piantando alberi in Africa ma sviluppando un economia dell’ambiente e un’educazione alla sua preservazione nei Paesi in Via di Sviluppo.
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